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Tradizioni popolari

La raccolta delle testimonianze orali ha messo in evidenza le credenze popolari che, come in tutta la Sardegna, sono caratterizzate da uno stretto legame tra magia e religione, dove gesti scaramantici, forme di scongiuro e operazioni di tipo magico si fondono a preghiere, oggetti consacrati, e gesti della religione cristiana. Basta ricordare Sa meighina 'e s'ojiu (la medicina dell'occhio), antico rito magico-religioso contro la sfortuna, diffuso in tutta la Sardegna, che consisteva nel versare chicchi di grano all'interno di un bicchiere d'acqua, recitando nel frattempo delle preghiere. Alla fine del rito, in base alla risalita in superficie dei chicchi di grano, si capiva se la persona interessata aveva, o meno, ricevuto una sorta di maledizione, o se era vittima dell'invidia di qualcuno. Altri riti erano invece legati al raccolto. Durante i mesi di giugno e luglio gli uccelli mangiavano il grano che maturava nei campi, causando così la collera degli agricoltori, che si rivolgevano al sacerdote del paese. Quest'ultimo riceveva la persona che andava a chiedere il suo aiuto, lo faceva sedere e, senza parlare, disegnava con una matita rossa delle croci su un foglio, scrivendoci accanto alcune formule in latino. Prendeva poi una canna, ne tagliava un'estremità, vi sistemava all'interno il foglio arrotolato e chiudeva la canna con un pezzo di sughero. Questa canna veniva poi consegnata all'agricoltore, che aveva il compito di nasconderla nel suo terreno, in un angolo di difficile accesso, magari all'interno di un muretto a secco. Da quel momento in poi gli uccelli non avrebbero più sostato all'interno del terreno, ma ne sarebbero stati lontani, come impauriti. Tra gli interventi magico-religiosi c'erano anche rimedi taumaturgici, come ricette di medicina o veterinaria, permeate di simboli religiosi cristiani, usati però magicamente, come immagini e sostanze consacrate. Tra questi si segnala quello per la cura dell'ernia dei bambini. Durante la notte di San Giovanni Battista, si effettuava una sorta di rito celebrato da un uomo di Mores che veniva chiamato appositamente nel paese. I familiari del bambino si recavano in una località del paese, su Giardineddu, nell'attuale via Brigata Sassari, dove si trovava un albero di fico. Il tronco dell'albero veniva aperto facendo un taglio, alto fino alla metà circa dell'altezza del tronco e di diametro sufficiente a far passare il bambino all'interno. Il bambino veniva preso in mano dall'uomo che, recitando delle formule particolari, lo faceva passare all'interno del taglio dell'albero, facendogli fare un movimento rotatorio. Quindi si richiudeva la ''ferita'' dell'albero con degli stracci, avendo cura di tenerlo ben stretto. Dopo un mese l'uomo di Mores tornava in paese e controllava la ''ferita'' dell'albero: se questa era guarita, anche il bambino non avrebbe più avuto disturbi. Tra le consuetudini, invece, si ricorda quella di chiedere sos responsos, una sorta di previsione sull'esito di processi in corso. Infatti quando in paese c'era qualcuno coinvolto come imputato in un processo, i familiari, il giorno del dibattimento, si rivolgevano ad una donna, che sedendosi vicino ad una finestra, ascoltava le frasi dei passanti: in base a ciò che sentiva dire dava l'interpretazione sulla sentenza e sull'eventuale pena. Tra le testimonianze orali emergono inoltre i ricordi legati ai giochi e ai passatempi, come il gioco dei ''gareci'', le antiche biglie di quercia, successivamente sostituite da quelle in terracotta e infine da quelle in vetro, con le quali i bambini del paese passavano il tempo giocando insieme.V